Portraits from Tchad
Portraits from Tchad
Giselle
È entrata al St. Francois due mesi fa. Pesava solo quattro kg, ma aveva già più di due anni. L’ha portata la madre. Con determinazione e amore. I parenti e i nonni le avevano consigliato di abbandonarla al suo destino. Perchè perdere tempo e risorse a cercare di salvare Giselle, quando c’erano i fratelli più grandi da far sopravvivere ? Ma la mamma aveva detto no ed era andata al St. Francois. Accolta dalle parole capaci, amorevoli e sagge di Maria Chiara. Devi seguire giorno per giorno esattamente quello che ti dico e ti prescrivo. Non sgarrare. E la mamma non ha derogato, mai. Sempre accanto alla sua Giselle, alimentandola e curandola con fiducia e facendole percepire la sua vicinanza e la sua volontà di vita. Giorno dopo giorno Giselle ha accumulato grammi su grammi. Per la malnutrizione avanzata non era persino capace di camminare, sapeva solo trascinarsi e farsi cullare dalla mamma. Adesso inizia a fare i suoi primi passi, stentati e malfermi, ma autonomi. Guarda con i suoi occhi colmi di speranza e assetati di futuro la mamma e Maria Chiara. E la mamma le risponde con uno sguardo fiero e colmo di orgoglio. La sua Giselle è adesso già più di sette chili. Tra poco potrà lasciare il St. Francois e tornare al villaggio ed iniziare la sua vita. Insieme hanno vinto.
Loredana
È una suora italiana. Napoletana verace. Forte e coraggiosa. Un viso spigoloso, con un naso alla Totò e due occhi neri e penetranti. Non è donna di dubbi, solo azione. Il suo compito è l’attività pastorale nella ‘brusse’ a sud di Bodo vicino al confine con la Repubblica CentroAfricana. Centinaia di kmq di un territorio ancestrale con fiumi e lagune, alberi monumentali e verdi sterpaglie, campi di sorgo intrisi del sudore degli agricoltori, vacche smagrite, piccoli villaggi con poche decine di capanne in mattoni rossastri e abitati da una umanità dolente, misera ma dignitosa. Un concentrato di bellezza e povertà estrema. Loredana solca incessantemente il territorio: a cavallo di una moto, a bordo di piroghe, guidando una Toyota. L’affetto di Loredana per la sua gente è profondo e assoluto. Tutti la conoscono. E la amano. Soprattutto i bambini. È il loro idolo e supereroe. Percepiscono il suo arrivo da km di distanza. Appena si avvicina al villaggio sciamano dalle loro capanne al grido di “Lorè ! Lorè !”. È la personificazione della fratellanza evangelica.
Mamma sconosciuta dell’ospedale BèBèDjia
Non l’abbiamo conosciuta. Ce ne ha parlato Suor Suzanne, l’infermiera ugandese che opera nell’ospedale di BèBèDjia a Doba. Era una donna poco più che ventenne. Aveva già fatto molti figli. Si sfiniva a gestire la casa e lavorava nei campi per pochi franchi al mese. Insufficienti per dare da mangiare a tutta la famiglia. Una vita di stenti e di sofferenze. E di fame, vera. Era di nuovo rimasta incinta. Si presentò all’ospedale con uno scricciolo malnutrito di pochi chili. Emaciato, scheletrico e incapace di crescere. Nei suoi pochi mesi di vita aveva ricevuto solo sporadicamente il latte della madre. Spesso allungato con acqua sporca. Era in condizioni gravissime. Suor Suzanne li accolse col consueto amore invitandoli a ricoverarsi in ospedale per poter essere curate ed alimentate. La donna rifiutò. Era iniziato il periodo delle piogge e doveva assolutamente andare nei campi a lavorare e poi a casa c’erano gli altri fratelli da badare. Allora Suor Suzanne le fornì un po’ di latte in polvere e degli alimenti. La donna la ringraziò, ma piangeva angosciata. Le confessò che era di fronte ad una terribile scelta: se utilizzare quel po’ di latte per alimentare quel piccolo esserino ormai spacciato o se invece utilizzarlo per placare la sua fame e quella dei fratelli. Se ne andò nella notte con quel fagottino di bambino, il cartone del latte ed il suo atroce dubbio.
Narcisse
Un ragazzo, un adolescente. Vive in un villaggio nella ’brusse’. Con la famiglia. Mamma, padre ed una mezza dozzina di fratelli e sorelle. Casa loro sono tre cubi di mattoni di argilla. Attorno il resto del villaggio, una manciata di casupole e meno di cento abitanti. Un sorriso luminoso, uno sguardo un po’ triste, la testa avvolta in una sciarpa color petrolio ed un paio di pantaloni sdrucitissimi. E con quel nome, Narciso, così improbabile in quel contesto.
Ci ha dato due grandi lezioni: cosa vuol dire accoglienza e amore filiale per il proprio padre.
Appena siamo sbucati nell’aia di casa, è schizzato fuori con mamma e fratelli. Ci hanno festeggiato con gioia vera e autentica. Anzi con l’orgoglio di avere come ospiti degli ‘Ètrangers’. La parola che per noi significa ‘paura e diversità da respingere’ per loro è il massimo regalo immaginabile. Dopo le feste e le presentazioni sono schizzati nelle loro capanne riusciendone con, in braccio o sulla testa, panche, sedie e sgabelli in legno. Solo per noi, solo per gli ospiti, solo per gli Ètrangers. Loro in cerchio seduti per terra. Ad osservarci e ad ascoltare, senza capire, i nosti discorsi in una lingua ignota. Ci guardavano come divi dello schermo. Il solo fatto di essere con noi li rendeva contenti e soddisfatti. Partecipi di un evento speciale. E artefici di un’accoglienza adeguata e rispettosa.
Ma c’era un ombra nello sguardo di Narcisse, una malinconia. Era dispiaciuto e crucciato per il fatto che suo padre non poteva essere lì a godersi la festa e gli ospiti. Suo padre era nel villaggio vicino a spaccarsi la schiena a lavorare nei campi. Narcisse non se ne dava pace. Supplicava sua madre di avere il permesso per andare di corsa a chiamarlo. La implorava di trovare il modo per far sì che suo padre, il suo eroe ed il simbolo della sua famiglia, potesse essere lì a godere della presenza di questi straordinari ospiti stranieri.
Siamo ripartiti dal villaggio senza poterlo incontrare. Ma dopo qualche chilometro, sulla via del ritorno, abbiamo percepito che stava arrivando qualcuno. Alle nostre spalle un uomo in bicicletta e dietro di lui, di corsa, una ragazzo. Erano Narcisse e suo padre. Ci hanno raggiunti e si sono presentati come se avessero coronato un sogno. E Narcisse guardava con fierezza ed orgoglio suo padre. Era una persona autorevole capace di avere e di parlare con importanti ospiti stranieri.
in questo mondo, in questo tempo, siamo tanti, siamo diversi, ma tutte storie importanti, grazie
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